3. Contributi al concetto della frase e la teoria verbocentrica di L. Tesnière sulle valenze

La linguistica tradizionale (e quella moderna) conosce circa trecento definizioni della frase (Pete 1991: 40) e, come tale, ognuna a sua volta tenta di cogliere l'essenziale di questa unità sintattica"superiore" così al livello dei compo­nenti della sua struttura (grammaticalità), come dal punto di vista dei parametri semantici (la correttezza semantica o accettabilità) riguardanti il significato (cfr.: Dardano 1991: 63).

Ora vediamo alcune definizioni della frase di carattere generale.

"La frase o proposizione è l'unità minima di comunicazione dotata di senso compiuto [...] Una frase di questo tipo può essere accompagnata, quando la frase non sia impersonale (ad es. «piove»), da un soggetto. [...] Una frase di questo tipo può mantenere invariata la sua fisionomia di base anche quando altri elementi sintattici (apposizioni, attributi, complementi) ne determinano l'espansione: «Venti negozi al piano terra di un centro commerciale di tredici piani sono stati devastati» " (Serianni 1988: 73).

"La frase si individua in un testo in quanto è una sequenza unitaria di parole, dotata di significato compiuto, compresa tra due segni di interpunzio­ne forte e caratterizzata dalla presenza di un verbo di forma compiuta" (Sensini 1990: 374-375). "La proposizione rappresenta un concetto dalla qualità nuova, un costrutto di ordine superiore rispetto alle fin qui studiate unità linguistiche: il suono, la parola e il sintagma. [. .] La proposizione ha una funzione non più nominati­va ma funzione comunicativa e le sue parti sono riunite da un rapporto predicativo" (Fogarasi 1969: 271).

"La frase è l'unità comunicativa minima della lingua e della parola, grammaticalmente organizzata o meno, e dotata di una strutturazione intontiva" (Pete 1991: 40 [trad. nostra: L. T.]).

Passando a una concezione più rigorosa, la frase viene descritta in base al concetto di costruzione grammaticale come una sequenza di parole governata da regole, e allo stesso tempo essa viene distinta dalla proposizione. A tal riguardo, la frase è "l'unità massima in cui vigono delle relazioni di costruzione" (ad es. in Vado via domani, «vado via» non costituisce una frase, dal momento che fa parte di un'unità maggiore in cui anche tra vado via e domani si ha una relazione di costruzione. Così, l'unità massima che può soddisfare i requisiti della definizione citata sopra è: Vado via domani); (cfr.: Salvi - Vanelli 1992: 1-2).

A questo punto emerge la questione dei componenti principali della struttura frasale, vale a dire, la questione degli elementi indispensabili o meno della frase. Si tratta della cosiddetta "struttura sintattica minima", oppure di una "concatenazione" minima o "nucleare" di elementi che compongono la frase, la presenza dei quali è obbligatoria perché la struttura abbia senso compiuto.

Le grammatiche scolastiche (sia in Italia, che in Ungheria) rispecchiano, in genere, la concezione teorica tradizionale accettata da numerosi linguisti anche oggi, secondo la quale - come abbiamo accennato sopra - in ogni frase sono presenti almeno due elementi indispensabili: il soggetto e il predicato (cfr.: Dardano - Trifone 1991: 60). Ora prescinderemo dai casi della soppressione degli elementi, lasciando da parte il fenomeno di ellissi quando l'elemento "sottinteso" può essere ricavato dal contesto linguistico più esteso.

Secondo un'altra concezione basata su un aspetto semiologico, la struttura minima nucleare viene considerata una struttura composta da tre membri cioè che comprende il soggetto, l'oggetto e il predicato, dei quali quest'ultimo (il predicato) serve ad esplicitare il rapporto tra i primi due (S-P-O).Tale considerazione della struttura minima rifiuta la "bipolarità" della frase il che sembra appunto essere confermato dal fatto che soltanto le strutture a tre componenti ammettono la trasformazione «attivo → passivo» (anche se in certi contesti, a determinate condizioni, il soggetto - e mai l'oggetto - dell'attivo può essere omesso). D'altra parte, le strutture a due costituenti contengono pure il terzo elemento in forma implicita che può essere ricostruito sulla base del contesto, per es.: La casa | viene costruita | Ø. Costruiscono la casa ≈ Qualcuno costruisce la casa ≈ La casa | viene costruita | da qualcuno. Infatti, la struttura di partenza qui viene valutata come una frase con soggetto indeterminato ( cfr.: Martynov op. cit.: 15-16 [in lingua russa]).

Nel sistema verbocentrico del linguista francese L. Tesnière basato sulle valenze semantiche del verbo, la struttura minima di una frase è determinata, in fin dei conti, dalle proprietà lessico-semantiche del centro sintattico, e cioè, del verbo, il quale svolge la funzione di grande predicatore d'informazioni, e quindi, di perno principale della struttura, intorno al quale si costruisce la frase (cfr.: Sabatini 1991: 294-295). Questa teoria di valenze ha trovato successori nella linguistica moderna sia in Italia, che in Ungheria. La base logica di questo ragiona­mento sta nel fatto che il verbo (predicativo), essendo "il punto di partenza" di ogni frase, in virtù delle sue proprietà lessico-semantiche dispone in diversa quantità (dallo "0" al "4") delle posizioni libere, semanticamente marcate, che a livello sintattico però devono essere necessariamente saturate dagli elementi di diverso grado "posizionale" (1°, 2°, 3°, 4° argomento) affinché si formi un'espressione che si regga da sola e abbia senso completo. Il numero di queste posizioni (argomentali) del verbo dipende dalla sua "pienezza" di significato, vale a dire dal considerare in quale misura è capace il verbo di esprimere anche da solo un concetto logicamente completo. Si distinguono così verbi zero-valenti (o avalenti), monovalenti, bivalenti, trivalenti e quadrivalenti (o tetravalenti). Secondo questa concezione i verbi impersonali (per es.: Piove) sono privi di qualunque posizione argomentale, e sono perciò chiamati zero-valenti, i verbi personali intransitivi possono avere solo il "primo argomento" (soggetto) e sono così verbi monovalenti (Piero dorme), mentre quelli transitivi sono capaci di "aprire" presso di sé due, tre o quattro posizioni, e sono chiamati rispettivamente verbi bivalenti, trivalenti o quadrivalenti (tetravalenti): Piero ama Maria, Piero dà un bacio a Maria, Marco ha tradotto la poesia dall'inglese all'italiano (cfr.: Arbia 1996: 50-51; Sabatini - Coletti 1997: 6 - 13).

[Va rammentato nel contempo, che alcuni verbi intransitivi, come anche il verbo dormire, possono essere usati pure in funzione transitiva e sono capaci, a determinate condizioni semantiche, di collegarsi - magari in superficie - con un oggetto diretto: "dormire sonni tranquilli". Questo è il caso del complemento dell'oggetto interno che "ha la stessa base del verbo o presenta un significato affine a quello del verbo" (Dardano - Trifone 1991: 68). In tal caso possiamo parlare - a nostro parere - di un argomento intrinseco (incorporato nella semantica verbale) organicamente associato al verbo in base soprattutto semantica. Ciò significa che la saldatura semantica tra verbo e complemento è talmente forte che il complesso non è scomponibile ulteriormente dal punto di vista sintattico, non è possibile "interrogare" il complemento oggetto: *che cosa dormire? - sonni tranquilli. Non siamo certi in tal caso di poter a buon diritto parlare di argomento, nel senso vero e proprio della parola. La situazione sembra essere simile alla semantica delle espressioni idiomatiche in cui il significato del costrutto difficilmente può essere derivato dai significati delle singole parole, cfr.: fare un buco nell'acqua. Nel caso dei verbi come cambiare, bruciare, ecc. che cambiano significato a seconda che siano usati "transitivamente" o "intransitivamente" invece, sarebbe forse più felice parlare di due verbi diversi ma che hanno la stessa forma esterna e perciò sono forme omonime, di cui le forme transitive richiedono un oggetto diretto, quelle intransitive - no: Mario ha cambiato casa / Il tempo cambia Ø (cfr.: Sensini op. cit: 223). Lo stesso vale per il verbo camminare che, senza un argomento che localizzi l'azione nello spazio (Il gatto cammina sul tetto), può trasmettere la capacità del soggetto di svolgere una certa azione oppure può indicare la maniera tipica di spostamento (moto) del soggetto:'quel tale gatto che si era spezzato una gamba, ora ha ripreso a camminare'; 'il gatto è un animale che cammina'. Quindi de facto abbiamo a che fare con un camminare 1 (con argomento spaziale), un camminare 2 e un camminare 3. In fondo, i contesti con camminare 2 e 3 esprimono la stessa cosa: la capacità del soggetto che è priva della localizzazione temporale (cfr.: Sabatini 1991: 317; Tóth 2008: 343-344).]

Per analogia con un'azione teatrale (espressa dal verbo) che viene messa in atto da personaggi principali chiamati "attanti" (che corrispondono agli argomenti), e anche da altri personaggi meno importanti ("accessori") dal punto di vista dell'azione, il modello elaborato da Tesnière comprende il verbo, i suoi argomenti, i circostanti e le espansioni. Nella parte centrale della frase che si chiama "nucleo della frase", rientrano solo il verbo, gli argomenti e i circostanti i quali (questi ultimi) sono legati agli argomenti o direttamente al predicato. Le espansioni non sono costituenti nucleari per il loro statuto meno specifico nei confronti degli altri elementi: esse "non si riferiscono specificamente né a un costituente del nucleo né a un circostante, ma all'insieme della frase" (Sabatini - Coletti 1997: 13). La loro minore dipendenza dal nucleo si manifesta anche nella loro posizione libera all'interno della frase: possono cambiare posto nella frase, in genere servono a localizzare l'evento nel tempo e nello spazio. Ora vediamo, sulla base di una frase-campione, come funziona questo modello. Nella frase Ieri sera Carlo ha regalato un libro sui dinosauri a Maria si possono distinguere i seguenti costituenti. Argomenti: Carlo, un libro, a Maria; Circostante: sui dinosauri (specifica l'argomento del libro); Espansione: ieri sera (localizza l'evento nel tempo).

Per quanto riguarda le espansioni interpretate da Sabatini e Coletti, riteniamo utile aprire a questo punto una parentesi. Citando la frase piove a dirotto da due giorni in tutta la Toscana, gli Studiosi osservano che le espressioni da due giorni e in tutta la Toscana "non hanno legami morfologici e sintattici con il verbo e il suo circostante, ma ampliano l'informazione complessiva sull'evento (allargano la scena nel tempo e nello spazio)"; (ibid.: 13). Sta di fatto, che i due elementi avverbiali menzionati in precedenza non hanno legami morfologici con il verbo (visto, che tra essi e il verbo non sussiste né rapporto di accordo né quello di reggenza), ma da parte nostra è difficile capire, in che senso gli avverbiali non abbiano nesso sintattico con il verbo della frase. Nella frase citata gli avverbiali fanno parte del sintagma verbale la cui testa è il verbo piove, gli avverbiali invece ne dipendono al livello sintagmatico, sono quindi "modificatori" della testa (cfr.: Salvi - Vanelli 1992: 65). Secondo la concezione più "tradizionale" - che si rende conto dei rapporti sintattici i quali si instaurano tra i componenti del sintagma subordinante (il sintagma viene definito come unione di almeno due elementi linguistici che abbiano significato "autonomo" o "lessicale") - i rapporti sintattici si dividono in quelli oggettivi, attributivi e avverbiali (in ungherese anche soggettivi), a seconda della funzione sintattica del determinante (elemento subordinato). In un tale assetto gli elementi avverbiali indicati sopra realizzano rapporti avverbiali con il verbo in seno al sintagma (cfr.: Fogarasi op. cit.: 259-260; Tóth 2000: 246-248).

Per altro, tali rapporti risalgono a un sistema "generale" di valenze delle parole. István Pete accenna al fatto che dal punto di vista semantico le parole possono essere ripartite in parti del discorso primarie, secondarie e terziarie. I sostantivi sono parole primarie in quanto designano "oggetto autonomo" del pensiero e si possono collegare con tutte le parti del discorso. I verbi e gli aggettivi, insieme ai numerali (in russo, per esempio, anche le parole della cosiddetta categoria dello stato), si considerano parole secondarie e hanno legami con i sostantivi. Gli avverbi si combinano anzitutto con verbi e aggettivi, perciò essi sono chiamati parole terziarie (cfr.: Pete 1996: 13-14).

Osserviamo tra parentesi che il modello sintattico di Tesnière vige ai nostri tempi, anche se esso è stato sviluppato successivamente in certi aspetti. Tanto per fare un esempio, G. Salvi e L. Vanelli distinguono gli attanti come partecipanti dell'evento descritto dal verbo dagli argomenti che considerano la realizzazione sintattica dei partecipanti dell'azione. Gli attanti sono in rapporto con l'interpretazione semantica della costruzione, gli argomenti invece rappresentano il livello della struttura sintattica. A livello semantico il verbo come testa della costruzione determina quali attanti possono comparire nella frase (Agente, Esperiente, Termine, ecc.). A livello della struttura sintattica figura la struttura (sintagmatica) della frase che è composta da un SN (sintagma nominale )che è uno degli argomenti del verbo, il Soggetto, e da un SV (sintagma verbale) costituito dal verbo e dai suoi argomenti (cfr.: Salvi - Vanelli 2004: 20-21 e 31-32). Gli stessi Autori considerano elementi nucleari il verbo e i suoi argomenti (i quali in genere non possono essere tralasciati liberamente nella costruzione) e, - elementi extranucleari (circostanziali) quelli che possono mancare senza che la frase diventi agrammaticale (quindi sembra che i circostanti analizzati da F. Sabatini, similmente alle espansioni, secondo una tale prospettiva, non rientrino nel nucleo della frase (cfr.: ibid.: 20; 23).

In prima approssimazione sembra che la teoria sintattica di L. Tesnière ponga l'accento sul lato quantitativo dei componenti principali della struttura frasale; bisogna tuttavia ammettere - a favore del presente ragionamento - che dietro il fattore di quantità risiede una determinazione semantica ben precisa dettata dal verbo stesso. A questo punto diventa evidente, in una tale cornice, che la prospettiva tradizionale, secondo la quale il soggetto e il predicato sono considerati i due componenti fondamentali della frase, va soggetta a certe correzioni dal momento, che la struttura nucleare della frase, in fin dei conti, è prescritta dal verbo, cioè, dal predicato. Tali elementi come soggetto e oggetto (diretto, indiretto) ed anche gli elementi cosiddetti "circostanziali" (diversi tipi di complemento) possono, anzi, in certi contesti devono mancare, mentre negli altri essi devono essere presenti (magari devono essere sottintesi): Ø Tuona Ø, Ø Lampeggia Ø, Ø Gela Ø ecc., Piove (la pioggia); Giovanni mangia (la minestra), Carlo chiama Maria, ecc.

Tra parentesi ricordiamo che non solo il soggetto e l'oggetto possono fungere da elementi obbligatori (o indispensabili) per realizzare il significato "totale" del verbo, da una parte, e non solo i verbi predicativi sono capaci di reggere un complemento - dall'altra. Cfr.: La bambina ha gli occhi azzurri (l'aggettivo è obbligatorio); Luigi è (entrato) in cucina; (il complemento di luogo è obbligatorio); Non mi sento bene (l'avverbio qualificativo è obbligatorio); Ci trovammo all'aeroporto / d'accordo; II monumento si trova al centro della piazza; Si trovano bene / male da noi (i complementi presso il verbo trovarsi sono obbligatori).

Come abbiamo accennato sopra, il criterio d'obbligatorietà o di facoltatività di un complemento è regolato dalla natura semantica "profonda" del verbo, o, per meglio dire, dallo scopo comunicativo veicolato dalla frase attraverso il prisma semantico, potenzialmente adottato dal verbo stesso.

Nel considerare le posizioni sintattiche che devono essere (necessaria­mente) occupate dagli argomenti del verbo, si possono distinguere due tipi fondamentali di valenze o reggenze.

Nel primo caso si ha a che fare con verbi (predicativi) che, oltre ad aver bisogno di essere completati con degli argomenti, "predicono" anche la loro forma morfologica, per es.: dare qualcosa a qualcuno, congratularsi con q per/di qc, dotare q/qc di/con qc, esentare q da qc, ecc. Queste costruzioni rappresentano legamenti grammaticalmente fissi ("pronosticati sul piano della forma morfologica") e quel che varia, è soltanto la loro "carica lessicale"; chiameremo la struttura in cui tali legamenti sono attualizzati - combinazione morfologo-sintattica.

Nel secondo tipo di valenze, i verbi - pur volendo completamenti a causa della loro incompletezza di significato - non "pronosticano" la forma morfologica di questi elementi, che possono essere di vario tipo, esprimono diversi rapporti semantici (più che altro, avverbiali), e sono così determinati dalle potenze semantiche del verbo, ad es.: trovarsi in Cina / presente / a Milano / in un bosco / bene, male, abitare una casa / al primo piano / in via Cavour / nella camera attigua / lontano dalla scuola, ecc. Chiameremo questo secondo tipo di legamento combinazione semantico-sintattica (cfr.: Tóth 2008: 337-346). Tra parentesi osserviamo che si basa su una tale logica anche la classificazione del genere di Rožkova che parla di reggenza "forte" e di quella "debole" (cfr.: Rožkova 1978: 71-78).

Infine va osservato anche che esiste un certo gruppo di verbi in cui il sema di transitività può alternarsi con quello di intransitività a seconda delle concrete esigenze comunicative. A proposito del verbo leggere M. Fogarasi osserva che "... solo l'opposizione di una parola all'altra nei rami sintagma­tici della catena parlata conferisce significato semantico ed insieme grammati­cale alle parole medesime. Per es. in 1. leggere un libro, 2. leggere nei pensieri di qualcuno, e 3. leggere la musica, i contenuti (significati) semantici di leggere (1.'rilevare le parole dai caratteri scritti, mentalmente o pronunziandole ad alta voce', 2.'interpretare il pensiero di qualcuno', 3.'eseguire un pezzo di musica guardando le note, ecc.') sono rilevabili solo in quanto leggere è contrapposto a un libro, a nei pensieri e a la musica; d'altra parte i significati (valori) grammaticali di leggere: libro, musica, pensieri, un, nei, la - si possono individuare e astrarre solo nella loro opposizione sintagmatica" (Fogarasi op. cit.: 260-261).

Si vuole aggiungere alle osservazioni fatte dall'Autore citato sopra che appunto il verbo leggere è tale da consentirci di considerarlo sintattica­mente e semanticamente "ambiguo" dal punto di vista del tratto di transitività /­ intransitività; cfr.: Paolo legge Ø; Paolo legge un romanzo; Paolo legge nei miei pensieri, ecc. Riteniamo importante ricordare che l'uso "assoluto" di un verbo transitivo (cioè, l'uso del verbo senza oggetto) - a nostro parere - non rende intransitivo il verbo in questione, diremo soltanto che il "peso semantico" dell'oggetto diretto (che può figurare "potenzialmente" presso i verbi del genere) in tal caso è ridotto allo zero (dal momento, che dal punto di vista dei fini comunicativi il ruolo semantico dell'oggetto diretto è irrilevante).

Per quello che riguarda il cosiddetto "primo argomento" della frase, che è il soggetto, la sua omissione risulta in determinati casi evidente. I verbi zero-valenti - come si è accennato sopra - soltanto in contesti particolari, e non in tutte le lingue ammettono un soggetto formalmente espresso nella frase. Qui bisogna distinguere il lato formale - sintattico e quello nettamente semantico. I verbi personali (zero-valenti) tedeschi e inglesi del tipo Es regnet, It is raining dal punto di vista formale sono monovalenti, in base semantica invece devono essere considerati zero-valenti. In ungherese il verbo "atmosferico" ‘Esik' può essere liberamente usato così senza soggetto come con soggetto - Esik az eső /a hó. In russo il verbo 'Idët' (nel senso "atmosferico" come 'piove') in genere non si regge da solo, ha bisogno di essere completato con il soggetto 'dožd'; cfr.: Piove la pioggia. La causa di tale comportamento di questi verbi atmosferici, con grande probabilità, sta nel fatto che il verbo (reggente) e il suo primo argomento fittizio (non espresso), cioè, il soggetto, ha la stessa radice (in italiano e in ungherese) e perciò il predicato già di per sé rende inequivo­cabile il rapporto dell'azione con il soggetto. Cfr.: esik - eső; piove - pioggia (In italiano, così il verbo piovere come il sostantivo pioggia risalgono alla forma latina "plùere" (cfr.: Bonomi 2004-2008).In russo invece il verbo 'idët' (la forma di terza persona del verbo andare) non ha nessun rapporto etimologico con la parola dozd' e visto che in russo idët è un verbo "plurifunzionale" (con una larga dimensione semantica), il suo valore impersonale risulta meno evidente nell'uso "atmosferico" 'piove'. Pertanto la frase russa Idët all'opposto di quella italiana o ungherese Piove, Esik - con il valore indicato sopra potrebbe essere considerata piuttosto come una costruzione ellittica con valore "non-atmosferico".

Ricordiamo del resto, che la struttura semantica delle frasi con verbi zero-valenti (impersonali) è una struttura completa (totale) che non manca di nessun altro elemento. Questa completezza semantica è riconducibile al mondo extralinguistico, alle azioni, ai fatti e fenomeni della realtà veicolati dai verbi o, per meglio dire, dalle frasi impersonali. In altri termini, la natura di tali azioni, fenomeni è tale da non ammettere un soggetto esplicito (agente) tanto più che si tratta di azioni spontanee, non controllabili dalla coscienza di un agente animato che funga da soggetto dell'azione nella frase.

C'è però qui un fatto fondamentale a favore dell'ipotesi citata all'inizio, che a un certo livello d'astrazione ogni azione presuppone il suo agente (animato o no) e un elemento (oggetto) sul quale passa l'azione stessa. Che i verbi come tuona, lampeggia, ecc. abbiano un soggetto ("fittizio") sembra essere confermato dalla flessione verbale che caratterizza tali costruzioni impersonali: la forma di 3ͣ persona singolare. Ci dobbiamo rendere conto della "non- causalità" di questa forma verbale. Va ricordato che, mentre il verbo di una frase "governa" come reggente il suo complemento (la "reggenza"), allo stesso modo il soggetto governa il predicato (verbo) prescrivendogli la forma morfologica. Un nome (al caso nominativo) richiede la terza persona (singolare o plurale) del verbo all'interno di un sintagma predicativo (in russo, al passato è fissato anche il genere grammaticale, in italiano il genere ha rilevanza solo con l'ausiliare essere).

Ricordiamo inoltre che in ungherese certi verbi impersonali possono svolgere la funzione di reggente e possono, cioè, avere argomento semantico, per es.: Ránk esteledett / virradt (it. Ci ha colto la notte / 1'alba); (Cfr.: Komlósy 1992: 27-28).

L'argomento ránk ('su di noi') in ungherese conferisce al verbo un valore perfettivo e, conversamente, un argomento del genere presso il verbo impersonale è possibile solo se il verbo è di aspetto perfettivo, quindi in un contesto che suggerisca la prospettiva di incompiutezza dell'azione (Aspetto progressivo), tale argomento renderebbe agrammaticale la frase: *Már esteledett ránk, amikor... (*Ci stava cogliendo la notte quando...). In altri termini, "scomponendo" la situazione in tratti semici otteniamo la seguente formula: 1) un cambiamento di stato ha raggiunto il suo punto temporale finale in un certo spazio; 2) noi (parlanti) siamo stati "partecipanti" di questo cambiamento di stato della natura fino al momento in cui il processo di cambiamento non abbia raggiunto il punto terminale, il "risultato", il che vuol dire che siamo stati partecipanti pure del risultato del cambiamento in questione. Chiameremo l'argomento ránk - che converte il piano aspettuale della frase ungherese nel piano aspettuale contrario (trasforma l'aspetto imperfettivo in quello perfettivo) - con il termine di József Krékits, attante aspettuale del verbo (cfr.: Krékits 1989: 31; [in russo]).

Dagli esempi sopraindicati sembrerebbe del tutto naturale di concludere che nel caso dei verbi zero-valenti (impersonali) gli elementi mancanti (o "fittizi") de facto sono "chiusi" nella sfera del verbo in seguito ad una certa "totalità semantica" dalla quale viene caratterizzata il verbo in questione.

Il soggetto, com'è noto, è l'elemento fondamentale della frase e svolge un ruolo molto importante nell'esprimere il cosiddetto rapporto predicativo oppure la predicatività che è uno dei tratti pertinenti della frase. Dal punto di vista del rapporto predicativo il soggetto e il predicato sono considerati i due costituenti principali della frase, tra i quali si instaura il rapporto predicativo. In questo senso il soggetto (o gruppo del soggetto) rappresenta «l'argomento (oggetto) della parola» sul quale il predicato (o gruppo del predicato) come «attributo esistenziale» dell'argomento della parola fornisce informazioni. Nel caso in cui in una frase compaiono (esplicitamente) entrambi i componenti (gruppi) si parla di una frase a due costituenti principali o di frase bimembra. Diremo allora che il rapporto predicativo si esprime "esplicitamente" tra NP e VP. Qualora la frase comprenda solo una di queste due parti (VP) il rapporto predicativo si stabilisce "implicitamente" e la costruzione può essere chiamata frase a un costituente principale o monomembra. Il rapporto predicativo (la predicatività) è un tratto distintivo costante della frase e concorre nel rilevare in essa la cosiddetta modalità predicativa od oggettiva come attributo inalienabile della frase. La modalità oggettiva rispecchia (attraverso il rapporto predicativo) la relazione reale o irreale dell'attributo esistenziale (del predicato) con il suo argomento (oggetto) della parola (con il soggetto) ed anche con la realtà dal punto di vista del parlante:

                                                est realis/irrealis

NP (argomento della parola) →                             ← VP (attributo esistenziale della NP)

                                                             ↓

                                                        Realtà


Per es.: Piero legge (ha letto / leggerà) il romanzo. - Piero leggerebbe il romanzo.

Il mezzo fondamentale dell'esprimere la modalità oggettiva è la categoria grammaticale del modo del verbo (cfr.: Pete 1991: 42-43; Péter 1991: 131).

Mentre la categoria del tempo grammaticale serve a localizzare l'evento espresso dal verbo sull'asse temporale, la categoria della persona lo localizza nello spazio. Una struttura bimembra può essere valutata semanticamente come una frase "personale" con soggetto espresso. In una frase monomembra con soggetto non espresso (fittizio o implicito) il valore personale (la "personalità") può essere rappresentato in diverso "grado", a partire dallo "zero" (strutture impersonali con verbo zero-valente) fino a un'interpretazione determinata dal punto di vista dell'espressione della persona. Si può costituire così una "scala di salienza semantica di personalità" che rivela i diversi "livelli" di rilevanza semantica della persona (soggetto). Cfr.:

(1) Livello inferiore. Minimo grado di rilevanza semantica della persona. Verbi zero-valenti (impersonali). Interpretazione impersonale. Cfr.: Piove. Lampeggia. Tuona. Gela. Nevica.

(2) Livello alto. Costruzioni senza soggetto esplicito. Costruzioni con il si impersonale. Interpretazione generica (con riferimento a un numero non definito di persone), con mancanza della localizzazione temporale dell'evento. Cfr.: Da queste parti non leggono molti libri. In questo ristorante si mangia bene. Il gatto cammina.

(3) Livello medio. Medio grado di rilevanza semantica della persona. Costruzioni con il si impersonale. Interpretazione indeterminata (la referenza del soggetto non è specificata; con i verbi cosiddetti "non inaccusativi". Cfr.: Oggi si è ucciso un uomo. Hanno ammazzato compare Turiddu. Dicono che domani piova.

(4) Livello superiore. Massimo grado di rilevanza semantica della persona. Costruzioni con il si "di soggetto di 1ͣ persona plurale", con verbo inaccusativo. Frasi con le forme dei verbi di 1ª e 2ª persona. Costruzioni imperative. Interpretazione di persona determinata con la localizzazione temporale dell'evento. Cfr.: Vado via domani. Dove vai? Chiudi la finestra! Aspettami! Mi aspetti! Mi aspettino! Non mi aspettare! Non mi aspetti! Non mi aspettino! Mettere la forma giusta del verbo tra parentesi! Oggi si è andati a pescare (=‘Oggi noi siamo andati a pescare.'); (Cfr.: Salvi - Vanelli 1992: 37- 40).

A questo punto possiamo fare un'osservazione di carattere generale che riguarda anche il rapporto predicativo. La rilevanza semantica del soggetto (persona) - visibilmente - sta in un rapporto reciproco con la "totalità semantica" del verbo della frase, vale a dire che con la riduzione della rilevanza semantica del soggetto (cfr. i verbi impersonali) aumenta il grado della completezza semantica del verbo, e viceversa.

Nell'ultimo tipo (4) - come si vede sopra - rientrano le costruzioni con il verbo di 1ª e 2ª persona al modo indicativo o imperativo del tipo Vado via domani; Vieni con me a teatro stasera?; Ora andiamo a casa; Venite con noi?; Vieni qui!; Aprite la finestra! ecc., dal momento che il riferimento personale deittico è espresso inequivocabilmente grazie alla desinenza verbale: la 1ª persona indica il parlante, la 2ª l'interlocutore (ambedue le persone sono partecipanti indispensabili all'atto comunicativo in quanto interagiscono tra loro mediante il passaggio di informazioni). Nei casi in cui la desinenza di 1ª o 2ª persona del verbo non partecipa al rimandare all'interlocutore, la precisazione allocutiva è affidata al contesto situazionale che rende chiaro l'indirizzo del messaggio comunicato (diverse forme imperative affermative e negative, e quelle espresse con l'infinito; cfr. sopra, il punto (4)).

Questa interpretazione (determinata) non è possibile con la 3ª persona del verbo, infatti la desinenza del verbo fa riferimento ad una persona qualsiasi di cui si parla, ma, che non partecipa all'atto comunicativo. Perciò, le strutture con il verbo di 3ª persona senza soggetto (persona) devono essere considerate ellittiche, salvo i casi dell'interpretazione indeterminata e generica indicate sopra.

Per quanto riguarda le frasi con interpretazione generica come In Italia in tutte le trattorie trovi pastasciutta, e In Italia mangiamo sempre pastasciut­ta (le frasi-campione di Salvi -Vanelli), bisogna ricordare che in questi esempi la mancanza della localizzazione temporale (e cioè il valore atemporale) conferisce alle frasi un'accezione "generica" e sposta la semantica della costruzione verso un valore di "potenzialità", il che significa, che in realtà non si tratta di un'azione reale, ma soltanto di una possibilità del suo attuarsi (da parte del soggetto) in un qualsiasi momento. La potenzialità è legata alle circostanze extralinguistiche (ambiente, capacità, attitudine dell'agente) e garantita da esse. Tale atemporalità avvicina la potenzialità al "significato categoriale" dell'aggettivo, cioè alla qualità, cfr.: 'L'Italia è un paese (tale) in cui in tutte le trattorie si può trovare pastasciutta'; Il cane cammina (è un animale che non vola, ma cammina, questa è la sua capacità "naturale", geneticamente determinata).

Infine, facendo una generalizzazione dei fatti presi qui in esame, possiamo concludere che per definire il concetto di frase bisogna tener presente diversi aspetti (semantici, strutturali, extralinguistici) concorrenti nel meccanismo di formazione della frase. Noi, ai fini didattici, proponiamo la preferenza di una struttura bipolare (in confronto all'ipotesi di V. V. Martynov sulla triplicità della struttura menzionata sopra).

Nei paragrafi precedenti abbiamo accennato alla struttura della frase a tre componenti fondamentali come struttura minima, che ammette la trasformazione attivo→passivo. Va rammentato però che esiste forse un fattore che - magari a prima vista - sembra che tiri l'acqua al mulino proprio della struttura bipolare, appunto attraverso la trasformazione menzionata.

Mária Farkas, citando Eckman F. R. a proposito del termine marcatezza, scrive: "[..] ci sono lingue (arabo, serbo-croato, ecc.) che hanno soltanto frasi passive senza l'agente, del tipo La porta è stata aperta. Ci sono altre lingue (come l'italiano, il francese, l'inglese, ecc.) che hanno frasi passive sia con l'agente (La porta è stata aperta da Mario) che senza l'agente (La porta è stata aperta). Ma sembra che non esistano lingue che abbiano soltanto frasi passive con l'agente. Quindi, la presenza di passivi con l'agente implica la presenza di passivi senza agente, ma non si verifica il contrario" (Farkas 2006: 34). Dunque in certe lingue l'espressione dell'irrilevanza semantica dell'Agente al passivo si rivela talmente forte che la struttura di queste lingue anche sul piano formale cancella l'Agente dalla frase passiva, e, pur non ignorando la struttura a tre componenti, apre più spazio alla bipolarità.

Nel cercare di fornire una definizione concisa della frase si giunge a un'unità comunicativa minima della lingua (e della parola), grammaticalmente e semanticamente ben costruita, intonativamente delimitata, e dotata delle categorie di predicatività e di modalità.