E per concludere, ti diamo tre studi su vari problemo della didattica dell’italiano Lstraniera in Ungheria.

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L'uno dei duecentoquaranta

Lajos Antal nel saggio intitolato "Egy nyelvoktatási modell nyelvészeti összetevői (I componenti linguistici di un modello per la didattica delle lingue) uscito nel 1982 nel Nyelvmetodikai Füzetek (Quaderni metodologici dell'insegnamento delle lingue, pp. 82-126.) fornisce un'analisi molto profonda dei componenti dell'insegnamento delle lingue straniere, concludendo fra l'altro che - considerando soltanto le più importanti variabili - le situazioni dell'apprendimento sono ben duecentoquaranta.

Il presente articolo intende richiamare l'attenzione su quella situazione particolare che rappresenta la didattica dell'italiano in una sezione bilingue, dove la lingua straniera ha una duplice funzione:essa infatti da una parte è oggetto dell'insegnamento come in tutti gli altri contesti anche se in forma più intensiva, dall'altra parte invece è anche lingua veicolare per trasmettere diversi contenuti. Questa situazione offre molti spunti di riflessione anche su alcuni problemi generali dell'insegnamento dell'italiano in Ungheria, ma nello stesso tempo ci si trova di fronte a quelli specifici, mai incontrati prima di allora in una scuola ungherese: discenti molto giovani, selezionati tramite un test di intelligenza, studiano l'italiano in forma guidata, in un ambiente in cui la lingua d'arrivo è poco presente, in modo intensivo, con la partecipazione di insegnanti di madrelingua, con obiettivi molto specifici: per poter imparare in italiano diverse materie curricolari.

Questo modello oltre ad avere vantaggi educativi, culturali, formativi, serve a potenziare la lingua straniera. I vantaggi sono noti fra essi ricordiamo la grande esposizione alla lingua straniera, maggior autenticità di situazioni e di contenuti.

Ma questa situazione presenta non pochi problemi, che pur essendo interessanti e degni di attenzione, anche una loro superficiale trattazione richiederebbe spazi più lunghi. A titolo di esempio ne elenchiamo alcuni: il tipo di insegnamento linguistico, una combinazione dell'apprendimento guidato e di acquisizione spontanea con i relativi problemi metodologici, la tensione fra l'età del discente e i requisiti, contenuti dei manuali, tipologie delle prove finali. i numerosissimi problemi organizzativi, la difficoltà nella definizioni di contenuti, la scarsità di strumenti e di input linguistico nel micro- e macroambiente, la mancanza di un adeguata preparazione e aggiornamento di insegnanti, l'assenza di qualsiasi consulenza e controllo del processo di insegnamento, i conflitti interculturali derivati dalla diversa concezione di "far scuola" (che ha accompagnato il lavoro dalla programmazione iniziale fino alla valutazione finale), lo scontro delle norme fra gli insegnanti locali e quelli di madrelingua, attese esagerate da parte dei programmi ufficiali e dell'opinione pubblica che pretenderebbero come prodotto finale la competenza di un altro tipo di bilinguismo e così via.

In questa sede si vuole esaminare alcune domande concernenti quell'aspetto che rende più singolare il lavoro qui svolto, vale a dire l'uso veicolare della lingua straniera e la preparazione degli alunni ad essa. Prima però non sembra inutile esaminare il concetto dell'educazione bilingue e classificare il nostro modello.

Già il termine educazione o istruzione bilingue presenta problemi. I due termini generalmente vengono usati come sinonimi, ma c'e chi fa una distinzione fra essi: nel primo caso si studiano in lingua straniera le materie umanistiche, nel secondo quelle scientifiche (vö. Balboni 2002:196). Coonan (2002: 72) poi, prendendo in esame questo ultimo, elenca le seguenti denominazioni: immersione, language medium teaching, content-based language instruction, foreing language-enhanced instruction, teaching content through a foreign language, content-based bilingual education, mainstream bilingual education, educazione plurilingue /multilingue. Ultimamente nella letteratura si usa l'espressione "uso veicolare della lingua" per parlare di una lingua straniera usata nella scuola per insegnare una disciplina non linguistica.

Ma la vera difficoltà consiste nel fatto che all'interno dell'educazione bilingue esistono centinaia di modelli, che a volte coprono realtà molto diverse fra loro. Nella sterminata letteratura sull'argomento sono noti parecchi tentativi di classificare i modelli bilingui (vö. Fishman, 1979, Siguan-Mackey 1986, Baker, 1993, 1998, 2002, Bartha, 1999, Bartha 2000). Una classificazione spesso citata distingue fra modelli deboli e forti a secondo delle finalità (assimilazione o mantenimento), della composizione etnica dei partecipanti (minoritari o maggioritari) e la proporzione delle due lingue nel curricolo

I licei bilingui ungheresi avviati alla metà degli anni Ottanta appartengono ai modelli forti, in quanto si tratta sempre di ragazzi della maggioranza che per un arricchimento culturale scelgono di studiare determinate materie in una lingua diversa dalla loro linguamadre. (All'interno di questo modello poi, sono possibili ancora ulteriori differenze. I licei bilingui funzionanti in Ungheria fra le due guerre pur mostrando molte analogie con i modelli moderni, furono istituiti con finalità leggermente diverse).

I licei bilingui ungheresi sono nati come frutto di una politica culturale che intendeva almeno parzialmente aprire verso l'Occidente. L'introduzione del modello nel sistema ungherese non era priva di problemi, tensioni, a volte addirittura scandali. Molti problemi sono derivati dal fatto che introduzione non era preceduta da un'adeguata preparazione, altri da errori strutturali del modello, alri ancora possono esser ricondotti a vari problemi locali. Queste difficoltà nei limiti di un articolo non si possono analizzate: il nostro intento è molto meno ambizioso: ci proponiamo di chiamare l'attenzione su alcuni aspetti problematici del modello, come la finalità dell'istruzione bilingue, la scelta delle materie veicolate, il modo di alternare le lingue, il tipo di competenza richiesta per poter studiare materie non linguistiche in una lingua straniera, i metodi del lavoro.

Il primo problema è legato alla definizioni e alla messa in pratica degli obiettivi dell'uso veicolare della lingua straniera. Nell'esaminare i modelli bilingui si trovano due possibilità: la finalità consiste nella creazione della personalità bilingue, o in quella di potenziare meglio la lingua straniera. Nel nostro modello la finalità è ben nota: formare un'élite in grado di parlare le lingue straniere, persone che nella loro vita professionale come medici, agronomi, economisti, ingegneri, ecc siano capaci di leggere la letteratura specifica, partecipare a convegni, eseguire traduzioni dalla lingua straniera e in essa. Così nella valutazione del modello si devono esaminare innanzitutto se quelle finalità per cui il modello era stato avviato sono attuate o meno. In realtà queste finalità sono pienamente giustificate per lingue come l'inglese (vö. Bognár 2000a, 2000b) nel caso dell'italiano però erano più difficilmente attuabili, un po' per errate interpretazioni di tali finalità (vö. Józsa 1999) un po' perché all'italiano tradizionalmente ci si accosta per altri obiettivi. Così la tensione fra domanda e offerta era inevitabile: le motivazioni personali infatti, raramente coincidevano con gli obiettivi istituzionali.

La scelta delle materie da studiare in lingua straniera è strettamente legata alle finalità del modello. Nel caso della creazione della personalità bilingue si dà generalmente precedenza alle materie umanistiche che veicolano la cultura. Nel secondo caso, quello orientato sul perfezionamento linguistico invece si scelgono le scienze. Occorre però osservare che a meno che non si tratti dei linguaggi settoriali, le materie umanistiche offrono maggior possibilità anche per lo sviluppo delle competenze linguistiche.

. Il modello ungherese parte dalle presunte esigenze professionali, mettendo gli accenti sull'acquisizione dei linguaggi settoriali delle scienze (sulle cinque materie prescelte quattro (la matematica, la fisica, la biologia, la geografia appartengono a questa sfera delle nozioni). In una disposizione ministeriale uscita nel 1997 si legge che è la scuole che decide quali materie insegnare in lingua straniera, ma possibilmente esse devono esser tali da permettere uno sviluppo maggiore possibile e equilibrato delle quattro abilità. In questa ottica la scelta di materie come la matematica e la fisica è poco convincente. Forse per controbilanciare il peso delle scienze nell'ambito delle lezioni di lingua italiana si dava uno spazio secondo noi esagerato alle nozioni riguardanti la letteratura e la cultura del paese. Chi conosce le reali condizioni di lavoro in cui opera una sezione bilingue in provincia sa che non si può pretendere tutto e gli obiettivi esagerati, irreali sono controproducenti (in quanto demotivanti) se non addirittura dannosi.

Le esperienze dimostrano che il modello iniziale, centrale imposto dall'alto per tutti i licei bilingui, senza tener conto delle differenze di utenza, di lingua, di fattori ambientali, di tradizioni, ecc è stato un errore. L'esempio dei recenti modelli europei dimostra che sono più efficaci modelli più flessibili.

Per l'alternanza delle lingue vale lo stesso cioè essa non dovrebbe seguire la stessa formula per tutte le discipline indipendentemente dal loro carattere. Non può nemmeno essere identica in tutte le fasi della crescitá in lingua straniera.(Le soluzioni sono tante: è la stessa persona che alterna le lingue, o lo fanno due persone, si alterna la lingua secondo il giorno della settimana, o le parti del giorno, o secondo le fasi didattiche, secondo il carattere del contenuto, ecc. In certi modelli si usa addirittura la lingua straniera solo dopo che i contenuti sono già acquisiti in lingua materna. Un' altra variabile è quello della durata, qui la gamma di varietà va dall' intero ciclo scolastico al singolo modulo.

Il tipo di competenze richieste per studiare una lingua straniera è definito secondo Il Progetto Lingua 2000 come B2. .Come alcuni studiosi giustamente osservano (vö. Coonan, 2002: 98 ) in questa situazione è necessario sviluppare competenze specifiche, come saper prendere appunti, saper riassumere, saper sintetizzare, saper parafrasare, saper chiedere chiarimenti, ecc. Di conseguenza l'anno preparativo, l'anno intensivo non può esser inteso e progettato come un corso intensivo, uno di quelli che intendono a preparare alla certificazione delle competenze in italiano al livello medio. Invece di insegnare liste di terminologia di svariati campi semantici, o nozioni pur interessantissime di cultura e di civiltà italiane, dato che qui il discente ha fin dall'inizio bisogno di saper fare con la lingua, bisognerebbe lavorare su queste e simili abilità

Per quello che concerne il metodo di lavoro, tutti insistono sulla strettissima collaborazione se non addirittura compresenza dell'insegnante di lingua e della materia curricolare veicolata. Studiare materie curricolari in lingua straniera ha senso solo se nessuno dei due componenti (contenuto e lingua) viene sacrificato. Il lavoro svolto in classe deve basarsi su un tipo di insegnamento che richiede la partecipazione attiva dell'alunno, non può essere una lezione tipo cattedratica, ma richiede una metodologia adeguata. La letteratura sull'argomento fornisce molte indicazioni: far avere agli studenti la scaletta della lezione, fornire l'input in maniera ridondante, illustrare gli elementi astratti con esempi, chiedere spesso conferma della comprensione, far lavorare in coppie , alla conclusione di ogni sezione della lezione chiedere agli studenti di fare una sintesi, ecc. (Balboni, 2002: 205). Nelle nostre sezioni bilingui questo è un settore in cui c'e ancora molto da fare.

Chiarezza degli obiettivi, maggior coerenza e flessibilità nella scelta delle materie veicolate e nell'alternanza linguistica, una maggiore consapevolezza degli obiettivi specifici dell'educazione bilingue da parte degli insegnanti di lingua straniera, maggior collaborazione fra insegnanti di lingua e quelli delle materie curricolari, maggior attenzione ai problemi metodologici potrebbero essere alcune proposte per qualificare il lavoro. Ora che la fase iniziale, "pioneristica" è passata, fase in cui la preoccupazione maggiore era giustamente quella di assicurare le condizioni del lavoro, l'attenzione potrebbe esser spostata verso i problemi professionali e metodologici.

Siamo convinti che l'istruzione bilingue in Ungheria pur essendo senz'altro una sperimentazione "datata" ma non per questo può dirsi superata.(un relitto del passato", come l'aveva definita una collega sul Köznevelés). Si tratta di una formula di successo che trova molti consensi in tutta l'Europa. Studiare questi modelli è sempre molto utile e istruttivo, ma come dimostra la storia dell'educazione bilingue, modelli comprovati in altri ambienti non possono meccanicamente transitare da una situazione all'altra. Dopo un'attenta riflessione sui bisogni dell'utenza, sulle caratteristiche socio-ambientali, bisognerebbe ridefinire le finalità di quello che vogliamo sia il nostro modello di educazione bilingue.

Bibliografia

Baker, C. (1993) Foundations of Bilingual Education and Bilingualism Multilingual Matters LTD, Clevedon

Baker, C. - Jones (1998) Encyclopedia of bilingualism and Bilingual Education, Multilingual Matters, Ltd, Clevedon

Baker, C. (2002) Bilingual Education in The Oxford handbook of Applied Linguistics , University Press, Oxford

Balboni, P. E. (2002) Le sfide di Babele, UTET, Torino

Bartha Csilla. (1999) A kétnyelvűség alapkérdései, Nemzeti Tankönyvkiadó, BP

Bartha Csilla (2000) Kétnyelvűség, oktatás, kéttannyelvű oktatás in Educatio, IX. 4. pp. 761-774

Bognár Anikó (2000a)A két tanítási nyelvű oktatás tizenkét "nem tucat" év a magyar közoktatásban n Modern Nyelvoktatás VI. évf. I. pp. 53-63

Bognár Anikó (2000b) Mi szakmai elitet képezünk in Educatio IX. 4. pp. 799-810

Coonan, C. M. (2002) La lingua straniera veicolare, UTET, Torino

Ferermayer, K. (2002) Múlt a jövőben? in Köznevelés 58. Évf. 6. sz. p. 29.

Fishman, J. (1979) L'istruzione bilingue Minerva Italica, Bergamo

Józsa, J.(2000) Sikertörténet vagy kudarc? A XI. Magyar Alkalmazott Nyelvészeti Kongresszus Kétnyelvűség -szekciójában elhangzott előadás

Siguan, M. - Mackay, W. F. (1986) Education et bilinguisme, Unesco, Delaschaux, Niestlé

Compiti e domande

Quali sono le condizioni minime per poter imparare contenuti in lingua straniera?

Come è la figura professione ideale?

Insegnante di madrelingua o insegnante ungherese per le materie?

Come si risolve il problema del materiale? Adottare gli stessi testi che in Italia, tradurre i libri di testo ungheresi, realizzare con le proprie forze manuali?

Intervista compagni che hanno frequentato tali sezioni.

Per l'italiano uno specialista dell'argomento è Tamás Pelles, insegnante di matematica e di fisica e di italiano pressi il liceo Zoltán Kodály di Pécs. Sul suo sito troverai le sue pubblicazioni:

www.pellestamas.hu


Visita i siti delle sezioni bilingui italo-ungheresi in Ungheria!

In base al libro
Vámos Ágnes és Kovács Judit (szerk.)2008: A két tanítási nyelvű oktatás elmélete és gyakorlata 2008-ban. Jubileumi tanulmánykötet, Eötvös József Könyvkiadó, Bp.

fa' un riassunto delle esperienze della formula bilingue!

Dalla sociolinguistica alla glottodidattica:


Il presente articolo si ispira al titolo del libro di Santipolo, 2004) che offre un'introduzione alla descrizione della realtà linguistica italiana innanzitutto come una società sempre più multiculturale e plurilinguistica. Le comunità linguistiche alloglotte (minoranze storiche, nuovi immigrati), i contatti linguistici, la formazione di lingue miste, ecc. costituiscono nuove sfide per l'educazione linguistica dell'italiano come L seconda in Italia.

Con questo piccolo contributo, invece si vuole riflettere sul ruolo delle varietà dell'italiano, nella sua didattica come L2, con particolar riguardo alla situazione in Ungheria. Si tratta di un argomento di grande attualità in quanto rispetto al passato (non tanto remoto) si è stati testimoni di notevoli cambiamenti, in alcuni fattori, fra cui la situazione linguistica in Italia, le condizioni dell'apprendimento linguistico e le priorità nel campo della didattica delle lingue straniere.

Il quadro sociolinguistico dell'Italia

Per la descrizione della complessa situazione linguistica del Novecento in Italia si hanno diverse proposte e modelli. Sebbene il rapporto fra i principali due codici, lingua e dialetto cambi di regione in regione, i dati più recenti confermano che il bilinguismo (diglossia, dilalia) italiano-dialetto continua a caratterizzare la comunità italiana anche alle soglie del Terzo Millenio. " L'italiano avanza, ma il dialetto resiste."-tira le somme un articolo del 2000 che presenta i risultati di un maxi-sondaggio. L'unificazione linguistica della penisola senza dubbio è stata raggiunta, ma il bilinguismo resta la condizione naturale della maggioranza dei parlanti.

I modelli tradizionali del repertorio linguistico italiano propongono distinguere tre o quattro codici ( italiano standard, italiano regionale, dialetto o: italiano standard, italiano regionale, dialetto locale, dialetto regionale.( Lepschy, 1988: 12). Nel saggio di P.V.Mengaldo (1994) vengono elencate altre proposte di classificare e descrivere le varietà dell'italiano. Mioni (1979) parla di: italiano comune, italiano comune regionale, italiano regionale, italiano regionale popolare, koiné dialettale, dialetto dei centri provinciali, dialetto dei centri minori, dialetto locale. Sanga (1981) propone una classificazione ancora più complessa italiano anglicizzato, italiano letterario standard, italiano regionale, italiano colloquiale, italiano burocratico, italiano popolare, italiano dialettale italiano-dialetto, dialetto italianizzato, koiné dialettale, dialetto urbano, dialetto locale civile, dialetto locale rustico, argot degli emarginati, argot dialettale urbano, argot dialettale rustico. Il sistema di Sabatini (1985) è più semplice: italiano standard, italiano dell' uso medio, italiano regionale delle classi istruite, italiano regionale delle classi popolari (italiano popolare), dialetto regionale ( provinciale), dialetto locale.

Come incide tale complessa situazione sulla norma linguistica? Che essa sia sempre, in ogni contesto approssimativa e in continua evoluzione è ben noto, e che in Italia la situazione sia ancora più complessa, rispetto ad altre realtà non è certo una novità. Il processo della standardizzazione della lingua italiana viene molto seguito, interpretato, dibattuto. Fra le voci pessimistiche si citano le parole di Raffaele Simone (1996), uno dei maggiori studiosi di sociolinguistica e di educazione linguistica in Italia:

La ricerca di una lingua standard, "una lingua per tutti" secondo la formula di Emilio Peruzzi, che fu tra le preoccupazioni cruciali di una varietà di governi (incluso, a suo modo, quello fascista) non ha avuto grande successo nella storia postunitaria, o oggi ci si accorge facilmente che non ci sono due italiani che parlino una lingua moderatamente somigliante. Ad esempio, la varietà e il numero dei geosinonimi (le parole che nelle diverse zone dell'Italia servono per indicare la stessa cosa) è talmente alta che perfino nelle famiglie se i genitori sono do origini geografiche diverse si possono avere equivoci verbali.

È mancata anche la creazione di una lingua letteraria unica. Tra uno scrittore come Gadda e uno come Calvino ci sono abissi di differenze linguistiche, e il fatto che le desinenze in fondo siano le stesse non permette di concludere che la lingua che usino sia identica. Sotto la membrana della lingua standard si raccolgono e magari si nascondono decine e decine di dialetti non comprensibili l'uno all'altro che a volte sono l' unica lingua conosciuta. Il viaggiatore consapevole scopre sempre con sorpresa che non c'è bisogno di spingersi in isolate valli di montagna per trovare zone dove semplicemente non si parla italiano e dove scambiare quattro chiacchiere col proprietario di un bar può essere un'impresa pesante.

Di fronte ad un'opinione come quella sopra, anche l'insegnante di italiano resta perplesso, soprattutto se si pensa alle attuali tendenze della didattica delle lingue straniere, e al suo pubblico di discenti.

Finalità dell'apprendimento linguistico

Ultimamente (in realtà a partire dagli anni 80) c'é molto fermento anche nel campo della didattica delle lingue straniere. La nuova raccomandazione europea (Il Quadro comune di riferimento per le lingue) che è stata adottata da tutti i paesi membri, ha causato una piccola rivoluzione, in quanto ha visto cambiare profondamente tipologia delle prove conclusive della maturità e della certificazione. Cambiamenti di tale portata, come si sa, incidono su tutto il processo dell'insegnamento). Fra gli obiettivi prefissi, mai come prima, sta al primo posto la competenza comunicativa. Al posto di "nozioni, regole, tecniche, metodi, si parla di "bisogni e di "esigenze" del discente, che vuole, innanzitutto capire gli italiani quando parlano tra loro, e farsi capire da loro.

Ma quale italiano propone loro? Fra i tanti interrogativi che pone la didattica delle lingue nel nostro mondo, questo problema viene affrontato ogni giorno dal docente. L'italiano, come ogni lingua viva è un'astrazione, è un'insieme di tanti linguaggi, non esiste un unico italiano, ma esistono molti italiani. c'è il parlato e lo scritto, i registri, i gerghi, gli italiani settoriali, le varietà diatopiche. I manuali di italiano a stranieri da vent'anni a questa parte suggeriscono, raccomandano, prescrivono la necessità di presentare al discente i codici diversificati.

Inoltre tutte le ricerche confermano, che le motivazioni allo studio della lingua italiana sono molto cambiate. Pur essendo sempre di primaria importanza la motivazione tradizionale, di tipo culturale, sono apparsi nuovi pubblici, con nuove esigenze e con nuovi bisogni.

Mentre nessuno si sognerebbe mai di proporre in un corso elementare ed intermedio di italiano, ad esempio il gergo della malavita, o un testo altamente specialistico, rispettando la filosofia dell'approccio comunicativo certe varietà di lingua, come i registri, le varietà diatopiche o le varietà diamesiche non possono esser del tutto ignorate. A maggior ragione, se all'elenco dei principali fattori che negli ultimi decenni sono stati cambiati va aggiunto anche quello delle condizioni di apprendimento.

Condizioni di apprendimento


La distanza fra la „lingua dei manuali" e la lingua viva, effettivamente parlata dai parlanti nativi è sempre stata notevole. Ne sono la testimonianza, fra l'altro gli episodi, aneddoti, raccontati da chi negli ultimi secoli ha compiuto un viaggio in Italia. Nei decenni passati l'iter dell'apprendimento ordinario era il seguente: il contatto con l'italiano era quasi esclusivamente limitato alla classe di lingua e all'imput che vi si creava. Un input basato su una norma letteraria. Chi successivamente aveva la fortuna di poter entrare in comunicazione con parlanti nativi, scopriva, non sempre senza traumi, che esiste un'altra lingua italiana. Prima si imparavano le regole, poi le infrazioni delle regole, insomma.

In conseguenza dei cambiamenti politici (1989-1990) nelle condizioni dell'apprendimento delle lingue straniere avviene una svolta in Ungheria. Passare un periodo in Italia non è più un privilegio per pochi. Ma non è neanche necessario recarsi in Italia per incontrare un altro tipo di lingua. La figura dell'insegnante di madrelingua, inserita in una scuola secondaria ungherese è sempre più frequente. Si accende la televisione e via cavo o attraverso l'antenna parabolica si prendono i canali italiani. Nelle edicole si vendono settimanali, quotidiani, nelle librerie i più recenti manuali di italiano per stranieri, realizzate in Italia. Le possibilità offerte da Internet sono infinite. L'italiano non è più una lingua che " giace morta sui libri", né una lingua "classica", per usare la definizione di Balboni (Balboni,1994:15) per indicare quel tipo di italiano immobile, che viene presentato in alcune istituzioni.

Le varietà di lingua, i fenomeni del parlato in questo contesto non possono delegati solo ai gradi avanzati di un corso di italiano, prassi ordinaria dei tempi trascorsi. Il discente sin dall'inizio mette a prova la propria competenza, e nei casi delle divergenze lo scontro avviene subito tra norma "manualistica" e lingua effettivamente parlata. Ne deriva, a volte una tensione, un problema pedagogico, non sempre di facile gestione. Il discente avverte subito la distanza fra la lingua studiata a scuola e quella parlata dai nativi italiani, con conseguenti smarrimenti, perditá di motivazioni, sfiducia nelle possibilità di un insegnamento guidato, scolastico (o addirittura nella competenza dell'insegnante).

Ma ad esser perplesso non è solo il discente. Anche gli insegnanti, provenienti da diverse esperienze linguistiche, o che semplicemente consultano strumenti normativi diversi, possono spesso non concordare fra loro sulla valutazione di alcuni fenomeni. Nella fase della presentazione o nel lavoro correttivo sorgono molti interrogativi: fra due alternative quale è la forma giusta, se lo sono entrambi, quali sono le eventuali differenze di significato, di ambito d'uso o di frequenza, di registro?

Il carattere soggettivo dell'errore non è certo esclusivamente un problema dell'insegnante di lingua italiana L2. A leggere i risultati di un sondaggio gli insegnanti di italiano, italiani stessi, a volte oscillano tra il normativismo rigido e una certa tolleranza„La costruzione Non so dove abita - é considerata errore da 14 insegnanti di italiano a stranieri residenti in Italia, e non errore da 24, mentre la forma „ha piovuto" é stata valutata in modo seguente: per 14 insegnanti di italiano a italiani si tratta di un errore, per 17 non errore, 25 ha dato la risposta: dipende. "(Cattana-Nesci, 2004:52)

Quale lingua italiana per stranieri: dibattito


Il problema della lingua da proporre agli stranieri viene dibattuto anche a livello teorico. Una delle prime occasioni in cui il problema fu sollevato fu nel 1982 a Roma, al convegno dedicato all'insegnamento dell'italiano come lingua straniera, a cui hanno partecipato alcuni dei maggiori esperti di sociolinguistica e di educazione linguistica. Da una lettura attenta degli atti di quel convegno L'italiano come lingua seconda n Italia a all'estero, 1983) risultano le divergenze di posizioni. Sabatini (1983:124) é dell'opinione che, "nell'insegnamento dell'italiano a discenti stranieri non sembra una buona scelta quella di tener lontano il discente proprio da alcune strutture portanti della lingua unitaria mediamente parlata e perfino scritta. „ Lo Cascio (1983: 127) invece afferma che „Uno studente, soprattutto a livello produttivo, vuole avere un modello linguistico rigido, perché non può esser confrontato costantemente con possibili varianti. Lo straniero vuole, almeno a livello dell'apprendimento le regole coscienti, vuole un sistema di regole, che da una parte gli permette dal punto di vista della comunicazione il massimo della comunicazione, ma vuole dall'altra parte che tale sistema abbia una sua rigidità, in modo che gli sia possibile imparare più facilmente la lingua che sta studiando."

Negli anni immediatamente successivi, Freddi, studioso di fama internazionale, espertissimo sia nella teoria che nella pratica della didattica di italiano L2, in un articolo nel 1984 dichiara: "L'insegnamento dell'italiano all'estero circola fra" fra un residuo formalismo toscaneggiante basato su un grammaticalismo riverniciato ed un ritardato spontaneismo sessantottesco che si appiglia a nozioni non ben chiarite, quali bisogno, nozione e funzione cioè all'apparato concettuale che sorregge il Progetto Lingue Vive del Consiglio d'Europa" (Benucci, 1994:123).

Secondo la tendenze degli ultimi decenni (cfr. Balboni, Diadori,) non è realistico e consigliabile progettare un corso per stranieri basato solo su modelli standard. Per l'italiano standard s'intende una varietà di lingua che si ispira ai modelli dell'italiano, scritto, colto, letterario. Di fatto questa varietà di uso alquanto raro nella vita quotidiana e sembra esser esclusiva solo in alcune categorie di persone. (Santipolo, 2004:198). Alcuni propongono di partire ai livelli iniziali da uno standard per aprire poi verso la variazione. propone di introdurre la consapevolezza della variazione linguistica e propone alla sensibilizzare a livello avanzato di competenza. ( Balboni, 1994: 191).

Sentito il parere dei teorici, conviene sfogliare i sussidi didattici per l'insegnamento di italiano L2, destinati a diversi livelli e a diversi tipi di pubblico, dal punto di vista della rappresentanza del parlato, degli italiani regionali e del neostandard.

Le varietà diamesiche: scritto - parlato


Esaminare il tipo di lingua veicolato nei manuali di italiano per gli stranieri, richiederebbe uno studio più approfondito. La norma su cui si basavano i manuali per stranieri era, ovviamente quella del „fiorentino parlato delle persone colte "la parlata semplice, ma propria, svelta ed idiomatica dei Toscani istruiti" come si legge nel" Piccolo italiano"del 1920 (Magari con qualche ammonimento di evitare di acquisire anche la pronuncia toscana come nel manuale di Donati Corso pratico, pubblicato nel 1920)

Nella sua ricerca condotta sulla la lingua dei manuali dei secoli passati Vedovelli (2002: 103) osserva che essa è

intermedia fra la norma puristica fissata dai grammatici e le ragioni dell'uso vivo imposte dell'insegnamento di una lingua per usi strumentali e culturali. Pur se aderiscono formalmente al modello normativo della lingua, soprattutto nella prefazione e nella sezione grammaticale del manuale, è più forte nelle sezioni testuali dialogiche, conversazionali la presenza della dimensione dell'uso vivo della lingua. l problema linguistico e glottodidattico era che la lingua modello delle funzioni strumentali di comunicazione non esisteva, almeno in modo diffuso: in quanto non esisteva l'italiano parlato se non in ristrette aree geo-e sociolinguistiche . ... I maestri / autori dei manuali inventano l'italiano parlato per gli stranieri. anche se questo parlato rimane sempre un parlato scritto.


Il tipo di italiano veicolato nei manuali dipende, inoltre anche da tradizioni differenti a secondo dei paesi, come da Meacci ( 2001: 440)

Sotto gli Ausburgo, l'italiano è accanto al latino e al tedesco-la terza lingua ufficiale nella quale per esempio era possibile redigere i testamenti. Di qui il carattere meno letterario è più pratico dell'italiano parlato dai tedeschi (assai diverso da quello aulicizzante e letterario, che circolava, ad esempio in Francia.Lo so vede anche dai manuali di conversazione: quelli ad uso dei tedeschi hanno un carattere colloquiale, mercantile, economico e politico fondato sull'uso, ben differente da quello dei manuali inglesi e francesi che descrivono una lingua salottica
.

La situazione della didattica dell'italiano come lingua 2 in Ungheria fu simile a quella tedesca. Anche se i viaggiatori ungheresi da sempre hanno lamentato il fallimento della loro italiano, acquisito sui libri nelle situazioni comunicative in Italia, lo sforzo di alcuni nostri autori di manuali in ogni epoca di dare spazio anche alla lingua parlata è evidente. I manuali di italiano realizzati a Fiume, a cavallo dei due secoli, destinati a scopi pratici, cercano tenere l'equilibrio fra il toscanismo dell'epoca e le esigenze comunicative.

Molti strumenti pubblicati nel periodo fra le due guerre si prefiggono di presentare il parlato, anzi, il colloquiale. Il dialogo, come tipo di testo prevale anche nei manuali dell'epoca successiva, anche se si tratta di conversazioni artificiose, lontane dalla lingua autentica, con forte deficit pragmatico.

Le varietà diatopiche:gli italiani regionali


Al problema del parlato è strettamente legato a quello degli italiani regionali. Mente quello delle varietà diamesiche è un vecchio problema della didattica, le varietà regionali sono un fenomeno novecentesco. Nella definizione di "italiano regionale" vanno comprese , sia le varietà sviluppate di chi ha o aveva il dialetto come madrelingua, sia le varietà apprese direttamente come lingua materna. ( Lorenzetti, 2002: 29)

Come é noto, praticamente gli italiani regionali sono i veri italiani parlati, quelli con cui il discente entra in contatto incontrando parlanti nativi. Gli italiani regionali sono "una realtà vitale della situazione sociolinguistica contemporanea e come tali non possono essere escluse dall'insegnamento comunicativo" (Diadori, 1995:134)

Nella didattica della lingua italiana a stranieri gli italiani regionali si presentano soprattutto come un problema della comprensione. Che non si tratti di una mancanza della didattica ungherese, dimostra la relazione di un insegnante francese (Boureux, 2003: 370)

Quando lo studente esce dall'ambiente scolastico per recarsi in Italia, è avvolto dalle strutture musicali della lingua italiana. Sente l'autenticità di una parlata spontanea, non controllata come quella dei professori e non sempre riesce a capire quello che gli viene detto.

Le ragioni del disagio che allora si crea è dovuta al fatto che gli studenti non sono stati sensibilizzati alle varietà dell'italiano. Non sono preparati a sentire, e meno ancora a capire, un italiano regionale o un italiano con forti influenze dialettali nella bocca di chi incontrano.

Ma il problema del regionalismo non riguarda solo la comprensione. Tratti regionali si presentano anche nella produzione scritta e orale del discente. Certe deviazioni dallo standard sono errori o solo forme regionali, acquisite sul posto, dalla bocca di parlanti nativi? Per l'insegnante il primo problema è quello di riconoscere il regionalismo, saperlo distinguere dall'errore vero e proprio, poi, in secondo luogo, valutare se accettarlo, come giusto, non errore nella produzione del discente.

Benché in Italia esista una vasta letteratura sull'argomento. (cfr. Telmon) negli strumenti realizzati da autori ungheresi l'argomento degli italiani regionali è poco frequentato). Il libro di Gyula Herczeg, Könyv az olasz nyelvről, uscito 10 anni fa, destinato ad un pubblico colto di ungheresi, non necessariamente italofono, prevedeva capitoli dedicati alla sociolinguistica dell'italiano, fra cui anche le varietà regionali, ma poi le parti riguardanti la sociolinguistica - probabilmente per ragioni economiche - sono rimaste inedite.

Nei corsi di italiano per stranieri (ungheresi) destinati ai livelli inferiori l'unico accenno agli usi regionali della lingua riguarda la distribuzione dell'uso del perfetto. Assistendo alle prove conclusive di competenza in lingua italiana si può notare, che mentre dalla parte degli esaminatori le pronunce ed intonazioni locali sono generalmente ammesse, vengono meno tollerati i geosinonimi e rifiutati categoricamente i tratti regionali della morfo-sintassi (ad eccezione dell'uso del passato prossimo e del passato remoto).

Lorenzetti osserva:" La regionalità nella grammatica e nella sintassi è più controllabile. Un'íntonazione o una pronuncia anche marcatamente regionali, tuttavia non ostacolano la comunicazione nella stessa misura dei regionalismi grammaticali, sintattici e lessicali." (Lorenzetti, 2002:30). Forse questa posizione vale anche per l'italiano L2?.

Il neostandard, la nuova norma


Il parlato e gli italiani regionali hanno un ruolo notevole anche nella formazione del nuovo standard, che viene definito „neostandard, comune, dell'uso medio, tendenziale e senza aggettivi."(Lorenzetti, 2002:28). Sul peso del fenomeno si citano le parole di Cortelazzo:„Accanto allo standard tradizionale (quello che almeno gli italiani dai cinquant'anni in su hanno imparato a scuola), si sta formando un nuovo standard, che solleva a livello di norma, anche scritta, fenomeni fino ad oggi considerati substandard o esclusivi del parlato." (Cortelazzo, 1977 131). (C'è da menzionare, che il saggio di Sabatini „L"italiano dell'uso medio: una realtà tra le varietà linguistiche italiane", uscito nel 1985 ha dato l'avvio ad una discussione e circa l'origine, l'accettabilità o la denominazione di questa varietà si registrano non poche divergenze di opinioni fra gli stessi linguisti italiani).

Dalla nostra ottica interessa sopratutto se il nuovo standard è presente anche negli strumenti di italiano per stranieri. Secondo la ricerca di Benucci, pubblicata nel 1994, in cui sono stati esaminati 83 manuali (sia edizioni italiane che straniere) anche dal punto di vista della norma e della presenza del neostandard, le edizioni straniere avrebbero una visione più conservativa rispetto a quelle italiane (Benucci, 1994:123)

Anche se mancano studi specifici sull'argomento, forse non è azzardato affermare che questo sia valido anche per l'Ungheria. Sarebbe interessante esaminare la produzione manualistica dell'ultimo decennio anche dal punto di vista di questo classico elenco di 35 tratti: fino a che punto gli autori ne tengano conto. (Ovviamente incide molto il gruppo di destinatari: se i manuali sono stati ideati per un pubblico generale, più vasto, o per i futuri italianisti). Nella presentazione dell'uso del congiuntivo, che è uno dei settori più interessato dall'evoluzione della norma, ad esempio prevale una visione tradizionale, senza dimostrare - come aveva fatto Lepschy già nel lontano 1988 - quali sono gli usi in cui l'uso del congiuntivo è insostituibile e quali invece quelli facoltativi o legati a certe varietà circonscritte.

Le ristampe di alcuni manuali classici e anche le nuove edizioni- a parte qualche caso isolato - continuano a trasmettere una visione monolitica del fenomeno, cosi l'impatto con la lingua viva, parlata, ma anche scritta, riserverà qualche sorpresa anche per i giovani di oggi.

Concludendo: sono passati, per fortuna, i tempi quando la lingua si apprendeva solamente sui manuali, sotto la guida di un insegnante e l'insegnamento era limitato alla presentazione delle regole grammaticali, intese come verità assolute. Non si torna più indietro: del resto, la nuova normativa europea sulle prove conclusive non lo permetterebbe neanche. Ma di fronte a cambiamenti e a variazioni molti insegnanti di lingue straniere pensano che l'insegnamento scolastico di una lingua straniera debba rimanere su uno standard medio.

1. A nostro avviso abituare sin dall'inizio il discente ai testi autentici (cartacei o sonori) per sviluppare l'abilità di comprensione è un dovere dell'insegnante di lingua di oggi.

2. Più complesso è il discorso concernente la produzione: come ammoniscono alcuni studiosi, fra cui Paratesi, "certe varietà sono "naturali in bocca al parlante, ma inaccettabili in bocca allo straniero" (Paratesi, 1984: 234). In un certo tipo di apprendente però, la motivazione di sforzarsi di acquisire accenti, scadenze regionali, la gestualità per rendere meno evidente la distanza fra nativo e straniero è molto forte.

3. La didattica dell'italiano in Ungheria avrebbe bisogno di alcuni nuovi strumenti: in alternativa e/o in completamento alle grammatiche accademiche, a quelle dell‘italiano standard, colto e letterario, ci sarebbe lo spazio anche per altri tipi di strumenti ("grammatiche del parlato"), che tengano conto anche dei recenti sviluppi della lingua, magari rivolti ad un altro pubblico di apprendenti di italiano. Nella politica linguistica dell'Italia in questi ultimi anni, molte volte si sente parlare della necessità di un rinnovamento. Si citano le parole di Balboni: "Si propone la grande Italia del passato, mente i giovani studenti vorrebbero la lingua della Ferrari, di Pininfaribna,di Armani,di Pasolini, Fellini, Calvino, Paolo Conte, e quando iniziano non pensano neppure vagamente di studiare Dante, Petrarca, Ariosto o Manzoni."Balboni, 2005:4)

4. Infine, un altro settore di intervento riguarda la formazione dei futuri insegnanti. Dedicare maggior peso alla variazione, al parlato, agli italiani regionali, non sarebbe inutile, visto che i nostri laureati esercitando la professione dell'insegnante devono saper riconoscere sin dal primo giorno regionalismi, forme del parlato, gerghi, errori di registro, ecc. e saperli distinguere dagli errori veri e propri. Sarà il loro compito anche quello di sensibilizzare i discenti alla competenza sociolinguistica. Si tratta di una competenza che presuppone consapevolezza linguistica, determinate nozioni linguistiche ed extralinguistiche, intelligenza, maturità. Far accettare da uno studente di 16 anni che le strutture e le espressioni imparate in Italia da italiani veri, "in carne e ossa" nel tema non possono esser accettate, sono "errori" è un'impresa difficile, se non addirittura impossibile.

Bibliografia:


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Vedovelli, A. (2002): L'italiano degli stranieri, Carocci, Roma.

Compiti e domande

1. L'Italia è ricca di dialetti. Come si spiega questo fatto?
2. È vero che in Ungheria bon ci sono dialetti?
3. La lingua vernacolare degli studenti e la lingua della scuola anche in Ungheria ha causato problemi. Cerca un po'di materiale fra saggi e testimonianze varie che ne parlano.
4. Leggi le esperienze di alcuni viaggiatori in Italia, poi raccontare se a te è capitato qualcosa di simile.

A köznép, kivált a nápolyi, dialektusban gagyog, fényes kudarcot vallott olasztudásom"-írja 1867-ben egy utazó (Zádori, 1867:45)

„A nép itt olyan dialektust beszél, amit az ördög ért. A ki gramatikából tanult olaszul, mint én, annak nyelvtudománya meglehetősen próbára lesz téve, ha Olaszhonba utazik. Velenczében például nagyszerűen ment a diskurzus olaszul, Lombardiában egész Milánóig szinte, Paviá-ban, Vogherában már nehezebben, Genuában abszolút sehogy. Maguk a született olaszok sem értik ezt az itt divó nyelvet." (Hoványi,1851: )

"A piaczokat Nápolyban largonak hívják: egyáltalán azt találtam Olaszhonban, hogy három dolog megnevezésében nagyon eltérnek a dialektusok egymástól, ezek: utcza, tér és az üveg. Ez utóbbit p.o. Velenczében bottiglia-nak, Toszkánában fiasco-nak, Nápolyban carafa-nak, Romagnaban foglietta-nak Liguriában vassatta-nak nevezik."(Jánossy, 1902: 174.)

5. Prendi una grammatica italiana di vecchia edizione (prima degli anni 80) e confrontala con una più recente. Guarda i seguenti punti: Fonetica, pronomi personali terza persona, l'uso del congiuntivo. Che differenze trovi?

5. Ti diamo un brano dal romanzo di uno scrittore giovane (Mauro Covacich, L'amore contro, Mondadori, 2001, Milano, pp. 101.) Leggilo e commenta dal punto di vista della sociolinguistica e da quello della didattica dell'italiano!

" È curioso come noi non usiamo il passato remoto, no?" ero partito troppo da lontano, ma non potevo permettermi scorciatoie, dovevo aggirare la zona devastata dalle formiche.

" Aspetta, quale è il passato remoto" col sorriso che cerca, divertito

"Quello: fui, andai, vendesti."

Ah sí, quello, certo. É vero, non lo usiamo mai.

Solo i meridionali lo usano.

Già, solo i meridionali... sbagliano?

No. Se uno ti parla di una cosa molto distante nel tempo, che ne so, se ti parla della sua prima comunione, è giusto che ti dica: feci la prima comunione, eccetera, eccetera.

Pero, chissà perché, se mi capita di sentire qualcuno che mi dice feci la prima comunione, rischio di ridergli in faccia. Se qualcuno mi dice:"entrai in chiesa, feci la prima comunione ed ebbi la benedizione del parroco", devo trattenermi per non scoppiare a ridere. Mi sembra una formula cosi strana. Suona come un'altra lingua.

"Sì, è vero, sembra un'altra lingua.

"È come qualcuno mi parlasse da una fiaba. Hai in mente: e vissero felici e contenti?

Già, certo, da una fiaba...